L’estro creativo e la bellezza di poter sconfinare andando a scavare oltre l’impensabile, la capacità di emozionare, toccando le corde dell’animo più sensibili, sono solo alcune delle caratteristiche del momento più alto e introspettivo dell’essere umano. Il mondo è cambiato e la digital transformation ne è la padrona. In questo contesto il Design Thinking non potrebbe che essere al centro perché al centro di tutto, così come del business, ci sono sempre e sole le persone e la loro umanità che li rende uniche e intoccabili difronte al cambiamento che stiamo vivendo.
Il viaggio alla scoperta del Design Thinking prosegue e oggi siamo felici di poter approfondire uno degli aspetti che più lo caratterizza e lo rende unico: la creatività e la sua forte attenzione alla dimensione umana delle persone.
Applicare il pensiero creativo per umanizzare i dati
L’innovazione dunque, si trasforma e si nutre del contesto, della cultura e degli input che generano la società e il mondo in generale in continuo mutamento.
Chi si occupa oggi di innovazione non può limitarsi a una mera analisi di puri dati. Questo significa usare e interpretare i dati a disposizione, sapendo scorgere le informazioni interessanti integrandole e “umanizzandole” con le storie e il valore celato al loro interno.
Seguendo questo presupposto il Design Thinking ha acquisito un ruolo chiave nelle aziende di successo, affidando una funzione strategica al design e alla creatività. Un esempio palese e super attuale è l’estrema personalizzazione della piattaforma Netflix ideata per intercettare un nuovo bisogno dei clienti dando vita a un servizio di successo che viene implementato attraverso il machine learning.
Design Thinking: cosa “umanizza” una digital experience
Abbiamo visto che il Design Thinking è un processo di innovazione che pone come fondamentale per la sua esistenza le persone. Questo perché ha la capacità innata di entrare in empatia con tutti gli insight dell’utente. Proprio come oggi le persone tendono a interagire sempre meno face to face a causa dell’imperare del digital, così potersi avvalere del Design Thinking per progettare una digital experience “umana” diviene improrogabile.
Ebbene sì “improrogabile” perché la sinergia umana non può essere rimandata a data da destinarsi. E’ qui, è adesso e vive dentro di noi esplodendo in ogni istante della nostra vita. Le emozioni, la sensibilità e l’anima che la compongono sono fatte di creatività pura, la stessa che impatta sulle nostre vite. La chiave del dibattito in corso è proprio l’anima umana e il suo essere “linfa” dell’evoluzione digitale. Perché il digital non dovrebbe oscurare l’uomo bensì valorizzare la sua unicità, amplificando i suoi aspetti positivi.
Oggi il Design Thinking coglie la sfida donando vita alla digital experience grazie al tocco umano, il solo che potrebbe fare la differenza in un mondo in cui ancora “essere diverso” risulta “fuori moda”.
Ma come si viene assorbiti da questo meccanismo “improcrastinabile”? Semplicemente grazie ad uno studio approfondito dell’utente e dei suoi comportamenti che lo portano a compiere determinate azioni.
Qui entra in gioco in modo sempre più preponderante il nuovo approccio del Design Thinking per mezzo di tre aspetti capaci di rendere un’esperienza digitale “umana”:
1) Personale
Al primo posto fra le caratteristiche dell’umanizzazione del digital c’è senza dubbio l’esperienza personale che fornisce all’utente.
Attenzione, parliamo volutamente di personale distinguendola da personalizzata. I due termini, apparentemente sovrapponibili, hanno un confine davvero labile oltre il quale la differenza di significato trova il suo senso di esistere.
Partiamo con la distinzione.
Un’esperienza “personalizzata” implica un’azione esterna all’utente: vale a dire che l’esperienza viene volutamente modulata sulla base delle caratteristiche della persona.
Un’esperienza “personale”, invece, indica un’attribuzione più intima, intrinsecamente legata all’individuo che vive quella particolare esperienza. A definire l’esperienza personale, proprio per la natura che la contraddistingue, può essere unicamente la persona.
E’ qui che tutto cambia e assume un aspetto molto più umano. Definire una digital experience personale significa porsi nella condizione di mettere al centro l’utente e il suo essere unico al mondo. A parlare infatti sarà la sua emotività relativa alla percentuale di coinvolgimento in una particolare situazione così come il suo intelletto.
Quello che ne uscirà fuori sarà qualcosa di unico e irripetibile, così come unici siamo noi essere umani, tutti uguali ma tutti diversi. L’esperienza digitale, così, assume sembianze sempre diverse e affascinanti da studiare e…vivere.
2) Trasparente
Al secondo posto della nostra classifica c’è la caratteristica della trasparenza.
In un’esperienza digitale più “umana”, gli utenti sono padroni del valore che loro stessi creano sul web e della condivisione dei proprio dati.
Oggi i grandi colossi come Google e Facebook ci hanno più volte fatto capire quanto siano importanti per loro i dati (i nostri dati) per farci vivere un’esperienza sempre più personalizzata.
E l’esperienza personale che fine ha fatto? Perché tendono ad oscurare la parte che più ci rende unici agli occhi del mondo (e non solo digital)?
Il punto è che manca trasparenza nella raccolta di questi dati. Hai mai fatto caso che molte volte se ci ritroviamo a pensare a qualcosa che vorremmo acquistare, parlandone ad alta voce con un familiare o amico, il giorno dopo (se non dopo qualche ora) durante la navigazione sui nostri social compare improvvisamente l’advertising di ciò che stavamo cercando o pensavamo di acquistare? Come hanno fatto a reperire questi dati?
Ebbene, un’esperienza digitale più “umana” dovrebbe permettere alle persone di essere coinvolte in modo trasparente e soprattutto comprensibile nel processo di raccolta dati: ognuno deve avere il diritto di decidere della condivisione dei propri dati solo dopo aver compreso come vengono raccolti e a quale scopo.
3) Riconoscibile
La terza e ultima caratteristica del rendere la digital experience umana ha a che fare con il rapporto tra uomo e macchina.
L’AI fa parte oramai del nuovo modo di concepire le dinamiche umane sfruttando l’intelligenza artificiale grazie a sistemi di ultima generazione.
Ma se il confine tra l’uomo e la macchina sta per essere superato siamo davvero convinti che questa rivoluzione possa portare l’evoluzione tanto ricercata?
Un concetto che forse esprime al meglio come la risposta emotiva possa perdere di efficacia quando le persone si trovano ad avere a che fare con un’entità simil umana è quello di “Uncanny Valley” introdotto dall’accademico giapponese studioso di robotica Masahiro Mori nel 1970.
Questo spiega come le tecnologie che portano all’umanizzazione siano molto apprezzate ma…, c’è un ma!
L’uomo, per quanto si possa tentare, non è un essere replicabile con le migliori tecnologie da laboratorio né tantomeno sul web! Rasentare l’umanizzazione della tecnologia, per quanto possa affascinare, può creare smarrimento e disagio negli utenti che si trovano a vivere la loro esperienza digital.
E il Design Thinking? Il suo contributo è fondamentale per la progettazione di digital experiences che siano sempre più personali, trasparenti e… riconoscibili, capaci di apportare un reale valore per il singolo individuo, fungendo da ”abilitatore” della singola persona.
Questo è solo il secondo approfondimento su uno dei temi più di fermento del mondo del business degli ultimi tempi. Non smetteremo di raccontare storie che emozionano, che fanno riflettere, storie di vita aziendale che intrecciate a quella umana ne fanno un capolavoro.